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Col 5G lavoreremo tutti da casa?

Il lavoro da casa piace a tutti o quasi, è noto. Piace ai lavoratori, dai pendolari che così evitano ore nel traffico ai pigri che così evitano di togliersi il pigiama. Piace o dovrebbe piacere alle imprese, che risparmiano sulla metratura degli uffici e hanno dei dipendenti più felici e quindi più produttivi, come è stato dimostrato, a parità di ore lavorate, oltre che – paradossalmente ma non troppo – disposti a sgobbare per più tempo.

Ormai un buon numero di lavori hanno bisogno solo di un computer e una connessione, e quindi possono essere svolti dal divano di casa o dal coworking dell’Ikea, però la maggior parte degli altri necessita comunque di presenza fisica o di attrezzi da manovrare. Programmatori, graphic designer, editor video, addetti alla comunicazione al marketing o alla gestione di database: sono alcuni esempi di lavori per i quali il futuro è già iniziato. Ma tutti gli altri? Tranquilli, sta arrivando il 5G.

Un articolo di Quartz fa notare che a ogni passaggio nella tecnologia delle connessioni mobili, c’è stato un salto qualitativo: passare dal 2G al 3G ha reso possibile navigare in internet con il cellulare; grazie al 4G possiamo vedere video in alta qualità sugli smartphone. Il 5G però dovrebbe portarci proprio in un’altra dimensione. Non da solo, certo, ma grazie a quella che viene chiamata XR: la tecnologia che mescola e unisce realtà aumentata, realtà virtuale e realtà estesa. Integrando queste possibilità, ognuno di noi potrà avere un proprio “gemello virtuale” che è presente e agisce dall’altro lato del mondo.

Come cambierà l’atteggiamento dei lavoratori? E quello delle aziende?

Il dirigente potrà farsi un giro in fabbrica guardando quello che succede, percependo i suoni e persino gli odori. Il manager potrà sedersi al tavolo di una riunione a New York e, subito dopo, farne un’altra a Shangai. Il chirurgo potrà operare un paziente a distanza di migliaia di chilometri. Tutto questo però ha bisogno di certezza e contemporaneità: di una connessione cioè che non rischi interruzioni o rallentamenti improvvisi, e che non abbia neanche un millisecondo di ritardo. E qui entra in gioco il 5G.

Quartz allora ha provato a immaginare questo mondo prossimo venturo, elencando una serie di conseguenze, e non sono tutte positive. Certo, insieme alla nozione di “luogo di lavoro” diventerà più fluida anche quella di abitazione: se si considera che la maggior parte delle persone sceglie il posto in cui vivere non in base alle preferenze ma alle necessità lavorative, magari avremmo meno metropoli sovraffollate, per esempio. Un’altra cosa che potrebbe succedere è che gli specialisti, ma persino gli executive, potrebbero lavorare per più di un’azienda, dato che non avranno più bisogno di essere materialmente in ufficio. Certo dovrebbero verificarsi una serie di altre condizioni – innanzitutto dovrebbero volerlo le aziende – ma insomma si immagina che possano diventare per free lance anche una serie di professioni che storicamente non lo sono mai state.

Free lance di lusso, ovvio, non come le partite IVA sottopagate. In questa visione un po’ idealizzata del futuro, le aziende faranno addirittura a gara per garantire le condizioni migliori ai dipendenti, data appunto la facilità di spostarsi “presso” un concorrente. Come pure faranno a gara per accaparrarsi le tecnologie più all’avanguardia in materia di realtà virtuale e aumentata. E dovranno, dovrebbero, tenere in costante aggiornamento tecnologico i propri dipendenti, con vantaggi per entrambi.
Augmented reality application using artificial intelligence for recognizing food

Realtà aumentata

Lavorare in un ambiente virtuale potrebbe diventare ancora diverso dal “come se fossi lì”, perché in più si potranno sfruttare tutte le informazioni e le potenzialità tecnologiche, che vengono visualizzate e gestite ad esempio all’interno di un visore per la VR: potrebbe essere “meglio che stare lì”. Ma ci sono anche le note negative, o comunque i problemi da affrontare: per le company, dice Quartz, sarà più difficile creare e mantenere una cultura aziendale, dato che ognuno sta per conto suo, ed è raro condividere ambienti e momenti extra lavorativi. E poi, non è da escludere, come si accennava, un possibile aumento del burnout: lavorare in remoto, e magari per più di una realtà, vuol dire dedicare al lavoro più ore, non avere uno stacco netto tra lavoro e non-lavoro, veder salire l’ansia da prestazione e lo stress di non riuscire a fare tutto.

Un’ultima conseguenza ce la aggiungiamo noi, e riguarda l’aumento, che pensavamo impossibile, del digital divide. Chi resta tagliato fuori da questo luminoso futuro, infatti? Ma i soliti: i poveri, i lavoratori manuali, i vecchi. I semi analfabeti digitali, dal primo al terzo mondo, quelli che lo sono non per scelta ma per il famoso gap nelle condizioni sociali ed economiche di partenza, non potranno che assistere al suo allargamento. Poi, quelli che fanno un lavoro manuale vero: non il chirurgo che opera con le mani, ma il meccanico o il pizzaiolo, per i quali certo non verranno installati proiettori di ologrammi e braccia meccaniche manovrate a distanza; d’altra parte le più avvedute analisi in tema di intelligenza artificiale affermano che, contrariamente a quanto si crede, i robot non ci sostituiranno nei lavori meccanici lasciandoci quelli creativi, ma viceversa le AI saranno sempre più specializzate e agli umani resteranno le fatiche troppo stupide per essere svolte da una macchina.

E gli anziani, i moribondi digitali: certo fa ridere quando esce una notizia di dipendenti pubblici che rifiutano di passare a un mezzo ormai anni 90 come l’email, ma al di là di quella che sembra un’assurda battaglia di retroguardia, è chiaro che chi non ha acquisito competenze informatiche minime entro una certa età, sembra avviato verso un prepensionamento senza pensione; è questo il perfetto esempio di una società contraddittoria, sempre più anziana e sempre più giovanilistica. Ma per tutti gli altri, il futuro è dietro l’angolo.